COVID-19, LA GUERRA FREDDA DEI VACCINI: PUTIN ANNUNCIA IL “VACCINO RUSSO”

Ecco come l’epidemia del 2020 ci riporta negli anni ‘60

11/08/2020

Questa mattina, in una riunione del Governo, il Presidente russo Putin ha annunciato che il “vaccino russo” è pronto per essere utilizzato e che è al 100% sicuro. Basti pensare che ha tenuto a precisare che sua figlia ha già ricevuto la dose, riportando soltanto un po’ di febbre per un paio di giorni.

Ma non finisce qui: il Ministro della Sanità russo, infatti, ha dichiarato che i primi ad avere accesso al vaccino saranno medici (in quanto sempre a contatto con i malati) e insegnanti (in quanto sempre a contatto con i bambini). Solo dopo, il vaccino sarà distribuito tra la popolazione civile, presumibilmente, fanno sapere, a partire dal primo Gennaio del 2021. 

Ma ciò che stupisce è la celerità con cui i ricercatori russi sono stati in grado di sviluppare questo vaccino. Ma siamo sicuri che non ci sia un trucco?

In vero, il trucco c’è e si vede anche. Il vaccino di cui tanto Putin si vanta, infatti, ha superato soltanto le prime due fasi della sperimentazione (la prima sugli animali, la seconda su un campione di volontari molto ridotto) e ha iniziato la terza e ultima fase (quella su un campione più ampio di volontari) soltanto da una settimana. Ed è proprio questo il nodo della questione: i ricercatori russi non sono stati più veloci e più bravi di quelli italiani o di quelli cinesi. Semplicemente, Putin ha fatto registrare ufficialmente un vaccino che dovrebbe ancora superare diversi mesi di sperimentazione. 

Ma perché accelerare i tempi? È davvero solo ai fini della sanità?

La domanda non può che essere retorica e la risposta non può che essere negativa. Negli ultimi mesi abbiamo sentito letteralmente ogni Stato associare al vaccino una nazionalità. Lo stesso Ministro della Sanità italiano, Roberto Speranza, pochi giorni fa in Parlamento ha riferito riguardo al “vaccino italiano”, annunciando che le prime dosi arriveranno già entro la fine del 2020. Ma ecco, subito, a frenare l’entusiasmo delle case farmaceutiche italiane, un Presidente un po’ sopra le righe che decide di bruciare le tappe pur di arrivare il prima possibile a una diffusione globale del suo vaccino. Non a caso, il Governo russo ha aggiunto che già diversi Stati hanno mostrato interesse nell’acquisto del vaccino; si parla di 20 Stati per un totale di un miliardo di dosi.

È risaputo: al giorno d’oggi la sanità è un business; ma non un business qualunque, bensì uno dei business più grossi e remunerativi che esistano. Essere i primi a terminare la sperimentazione del vaccino, vuol dire acquisirne il monopolio. E questo Putin lo sa bene. 

Quello su cui si gioca, purtroppo, è il bisogno, la necessità. Non mi stupirei se da domani la Russia cominciasse a speculare sulla disperazione di tutti quegli Stati che oggi stanno ancora vivendo l’incubo che in Italia abbiamo passato nella scorsa primavera.

L’India tocca i 2 milioni di contagi ed è il terzo Paese più colpito, in Cile si contano un totale di 10.000 morti e in Brasile addirittura 100.000. Ma anche in Europa la situazione sta tornando a peggiorare, la famosa seconda ondata non è più un’ipotesi così remota: la Germania viaggia a un ritmo di più di 1000 nuovi casi al giorno; la Francia ne ha toccati oltre 9300 in una settimana e quasi 2300 in 24 ore; l’Italia per ora mantiene un ritmo di 300-400 nuovi contagi al giorno (soltanto ieri, 10 Agosto, sono scesi a 259 in 24 ore).

Insomma, il vaccino non è solo necessario, ma anche urgente. Le economie di tutto il mondo stanno soffrendo e un’eventuale ritorno ai numeri della scorsa primavera sarebbe davvero la stangata definitiva.

Lo stesso Musumeci (Governatore della Sicilia) è tornato a minacciare nuove chiusure, aggiungendo che “non abbiamo bisogno di fare concorrenza alle regioni del nord”, quasi a sottolineare come il nuovo aumento dei contagi ce lo stiamo masochisticamente causando da soli. 

Sulle cause del nuovo aumento dei contagi e sul mancato rispetto delle norme ci sarebbe molto da scrivere, ma non è questo lo spazio adatto. Piuttosto, torniamo a parlare di quella che amo definire “la Guerra Fredda dei vaccini”. 

Perché siamo tornati agli anni ’60?

Non è la prima volta, nelle ultime settimane, che mi capita di trovare analogie con quello che fu il nuovo “equilibrio” mondiale nel secondo dopoguerra. Gli anni ’50, ’60 e ’70, infatti, furono caratterizzati da continue battaglie sul fronte del progresso, in tutti i sensi. USA e URSS giocavano in continuazione a “chi arriva prima, vince”. Chi sbarca prima sulla Luna, chi trova prima nuove armi nucleari, chi scopre prima nuovi farmaci, chi fa crescere prima la propria economia. Era tutto un arrivare prima, un anticipare l’avversario.

Vi dice niente? Né più né meno rispetto a quello che accade oggi, con l’unica, piccola, trascurabile differenza che i protagonisti non sono più soltanto due Stati e che l’obiettivo non è incutere timore all’avversario, bensì trovare un vaccino che possa salvare vite umane. Ma per qualcuno questo è solo un dettaglio. Anzi, qualcuno potrà pensare che questa situazione è vantaggiosa, poiché, se due Stati gareggiano per trovare un vaccino, sicuramente lo troveranno più in fretta.

In verità, questa concorrenza non fa che inibire la cooperazione internazionale. Piuttosto che mettere insieme le migliori menti di tutto il mondo, i vari Governi preferiscono fare tutto da soli: la torta la vogliono tutta per loro, sia mai che, se si collabora con qualcun altro, poi si sia costretti rendergliene conto! 

Attenzione, qui nessuno vuole negare l’utilità della concorrenza, ma non stiamo certo parlando di un prodotto commerciale. La concorrenza, in ambito sanitario, dovrebbe lasciare il posto alla cooperazione internazionale e forse, dico forse, le cose comincerebbero ad andare meglio.

Ma ormai, inutile negarlo, subiamo le conseguenze di chi ha fatto della sanità un business e delle vite umane numeri su cui gareggiare.


Luigi Dell'Utri, 11/08/2020